I giovani nel mondo del lavoro
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Se vediamo il presente come storia del futuro, c’e’ ben poco da rallegrarsi all’idea di cio’ a cui il mercato del lavoro va incontro. I dati sintetizzati nel Grafico1 indicano chiaramente due elementi deleteri:
- la carente integrazione dei giovani [^1] nel mercato del lavoro italiano ha radici profonde e lunghe. Gia’ nel 2003, il 35% dei giovani che aveva ottenuto il titolo di studio da oltre 1 anno non trovava lavoro allorche’ la proporzione era solo di poco superiore al 10% in Gran Bretagna.
- la crisi del 2007 ha avuto conseguenze ben aldila’ del settore finanziario da cui e’ partito l’incendio, ed ha provocato un peggioramento notevole del mercato del lavoro giovanile al punto che nel 2013 oltre il 50% dei giovani italiani con titolo di studio rimaneva fuori dal lavoro, conferendo all’Italia il premio poco ambito di peggior paese tra i big d’Europa.
E’ stato di recente sottolineato che in Italia l’Articolo 18 crea rigidita’ sul mercato del lavoro tali da scoraggiare gli imprenditori dall’assumere i giovani. In tal caso si deve pero’ anche spiegare i motivi per cui il 90% dei giovani tedeschi recentemente diplomati/laureati ha un lavoro nell’arco dei 3 anni successivi all’ottenimento del titolo in presenza di uno statuto dei lavoratori [^2] anche piu’ protettivo rispetto a quello in vigore in Italia. E la spiegazione e’ facile: l’Articolo 18 non e’ *il* problema ma solo una parte di esso. La crescita non dipende dal livello di protezione legale offerto a chi lavora perche’ carenza di innovazione, spesa pubblica abnorme e fuori controllo, corruzione, incompetenza, formazione professionale inadatta, incertezza del diritto, burocrazia ferruginosa hanno, di per se, reso l’Articolo 18 inutile asfissiando non solo la crescita ma tutta l’economia.
Piu’ significativo del tasso di disoccupazione (che risente molto delle variazioni nelle definizioni della categoria ma anche del ripiego di chi non crede nemmeno piu’ di poter lavorare e quindi smette di cercare e, conseguentemente sparisce dalle statistiche), il tasso di partecipazione all’economia si dimostra un indicatore piu’ eloquente. Nella misura in cui in questi ultimi anni non c’e’ stata nessuna riforma che ha innalzato l’eta’ dell’obbligo scolastico, la partecipazione attiva dei giovani all’economia dipende solo dalla demografia complessiva e dal numero di coloro che effettivamente hanno un lavoro. E alla semplice vista del *Grafico 2* difficilmente si riesce a trattenere un brivido d’orrore: i giovani di eta’ compresa tra i 15 e 34 anni che lavorano rappresentano meno del 5% della popolazione totale in Italia, quando in Gran Bretagna e Germania sono oltre tre volte tanti.
Notes
[1] Giovani di eta’ compresa tra i 20 e 34 anni titolari di un titolo di studio di livello uguale o superiore a http://www.uis.unesco.org/Education/Documents/isced-2011-en.pdf” class=”uri”>ISCED-3, ovvero, in Italia, tutti coloro in possesso di diploma di scuola media superiore, o di un titolo superiore quale, ad esempio, laurea breve, laurea magistrale, ecc. La percentuale dei giovani che hanno un impiego si riferisce ai giovani che hanno ottenuto il titolo di studio 1, 2 o 3 anni prima della momento in cui i dati annuali sono stati raccolti.
[2] Kündigungsschutzgesetz. Per una breve presentazione, in italiano, del caso tedesco, vedi http://www.giurista.de/2014/09/29/l-assenza-dell-articolo-18-germania-e-altri-miti-sfatare-1a-parte-19484335/>qui.
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